Una foto gratis stampata a colori per tutte le persone che si sono presentate e si presenteranno nelle prossime giornate stabilite, singoli, coppie e famiglie ; residenti o lavoratori del quartiere Roma. Una bella foto ricordo da conservare, oppure una foto tessera da utilizzare per i documenti. Un gazebo che raccoglie alcuni attrezzi del mestiere, computer e stampante, e, più in là, al centro dei Giardini Merluzzo di Piacenza, il set fotografico su fondale bianco, con supporto sia digitale sia analogico.
Questo il quadro in cui prende vita “Facce di quartiere”, progetto di quattro giorni (dopo mercoledì 8 settembre ci saranno: domenica 12 settembre dalle 15 alle 19, venerdì 17 settembre dalle 16 alle 19 e domenica 19 settembre dalle 15 alle 19) voluto dal fotografo Sergio Ferri per documentare il Quartiere Roma nella ricchezza della sua diversità, attraverso i visi di chi lo abita. “Facce di quartiere” soprattutto italiane nella prima giornata di ritratti fotografici ai Giardini. “Forse perché – come ha detto Ferri, fotografo di Effetre Fotostudio insieme alla collega Serena Groppelli -, i canali comunicativi occidentali, social e non, raggiungono meno facilmente la popolazione straniera del quartiere”.
“L’iniziativa ha radici lontane – spiega lo stesso fotografo -, vivo e lavoro qui vicino, il quartiere mi interessa da sempre: penso sia un laboratorio straordinario di socialità per la molteplicità di culture che ospita, uno specchio a cui guardare per cogliere la direzione del nostro futuro. Non perché io auspichi necessariamente un futuro multietnico, ma la sempre maggiore presenza straniera è ormai un fatto innegabile, per cui gli abitanti ‘storici’ di un’area cittadina si troveranno necessariamente a dover convivere in misura sempre maggiore con persone di altre origini; specie in una zona come questa, vicina alla stazione e attrattiva di moltissimi lavoratori della logistica, in cerca di una prima stabilità professionale”.
I disagi? “Nessuno li nega. Non sono solito farmi scudo dietro la bandiera della tolleranza per nascondere le difficoltà: la convivenza tra “diversi” è faticosa, complessa, ci sono disagio sociale, furti, spaccio. Problemi che vanno assolutamente monitorati e gestiti. Ma ci sono anche tanti momenti di normalità quotidiana che rimangono invisibili, prove di convivenza civile ingoiate nel silenzio”.

“Mi interessa fare questo con le mie foto – sottolinea Ferri -: raccogliere la normalità che esiste, sta sotto i nostri occhi, ma non vediamo; perché non fa notizia e alla cronaca non interessa. Il Quartiere Roma è diventato paradigmatico di Piacenza nel bene e nel male, ma per i suoi momenti di normalità c’è ben poco spazio. Ho iniziato a raccontarli dal 2012, fotografando lavoratori della zona intenti nella loro attività, o famiglie alle prese con piccole faccende domestiche. Ultimamente, poi, mi è capitato spesso di osservare la Comunità Islamica piacentina nei momenti di festa o di preghiera e ho capito quanto la fotografia sia per loro una testimonianza importante delle tappe della vita, forse più che per noi italiani”. Con ‘Facce di quartiere’ – conclude Sergio Ferri-, voglio continuare a testimoniare l’incontro di quotidianità differenti, convinto che questi visi, accostati l’uno all’altro, alla fine ci diranno molto di come siamo, da dove veniamo e come saremo. Un ringraziamento speciale per il supporto va a Bernardo Carli, alle associazioni di quartiere, la Luppoleria, Marco Botti e Serena Groppelli”.
Un significativo assaggio della mescolanza, tanto difficile quanto preziosa, che anima il Quartiere Roma, si è offerto già con i primi ritratti fotografici: all’insegnante di scuola media (che ben conosce il difficile cammino dell’integrazione e ne fa una battaglia quotidiana di civiltà con i suoi alunni) da sempre residente in via Pozzo insieme all’anziana madre con cui si è fatta fotografare, subito dopo si è affiancata una famiglia ecuadoriana; la madre con i due figli: uno piccolo, l’altra alle elementari. “Abbiamo saputo dell’iniziativa tramite la scuola di mia figlia – ha detto la madre -, abitiamo nel quartiere da due anni e aver fatto oggi questa fotografia è bellissimo, ci fa sentire ancora più parte della comunità”.
A dirci come eravamo un po’ di anni fa, tra il 1940 e il 1970, ci hanno pensato i fratelli Benedetti, Manuela e Stefano. Lui non abita più nel quartiere Roma, ma continua a considerarlo la zona più bella e più importante di Piacenza. La sorella invece c’è ancora e insieme ricordano quando il padre aveva nella via il negozio di elettrodomestici e cd, sopravvissuto fino al 1975, e lo zio il negozio di colori, aperto fino al 1990. “Quando eravamo giovani negli anni Quaranta, via Roma era piena di negozi bellissimi,tra botteghe e artigiani – raccontano – : i giardini colmi di bambini che mangiavano il gelato, l’oratorio di S. Savino sempre palcoscenico di partite di calcio tra ragazzini”.
“Ma il quartiere, il centro storico non si sono spopolati con l’arrivo degli immigrati – sottolinea animatamente Stefano -, il fenomeno risale persino al 1965 con la costruzione della periferia, a partire da viale Dante. Da allora gli abitanti della zona hanno preferito trasferirsi nelle case più comode della periferia, magari senza scale e con i bagni interni, e il centro storico ha gradualmente perso negozi e residenti. Se ora gli abitanti tornano, bisogna smetterla di costruire case nuove cominciando a valorizzare quelle vecchie, per favorire il ripopolamento della zona e la ripresa delle attività commerciali”. La delinquenza? “Guardi, mia figlia Silvia ha abitato qui dal 1993, quando era piccola, fino ad oggi, e non ha mai avuto brutte esperienze”.
Come siamo e come possiamo diventare? Testimonianza importantissima di integrazione concreta e possibile, è Elisa Tartaglia, insegnante di musica ritratta con la figlia e sposata con un ragazzo marocchino. “Ho scoperto dell’iniziativa odierna passando per caso qui ai giardini con mia figlia – ha detto la giovane – e ho deciso di farmi fotografare. Mio marito oggi non c’è, ma è di origine marocchina – spiega -. Ci siamo conosciuti in un locale, lui aveva già avuto una relazione con una ragazza italiana. Io ero curiosa e aperta a conoscere nuove realtà. È una relazione che richiede impegno e mediazione costanti, ma ci permette una crescita continua”. “Non è facile costruire un equilibrio – ammette -, lavoriamo senza stancarci per superare le differenze e integrare le nostre visioni: una bella palestra di vita, di cui nostra figlia è il frutto più prezioso. La nostra bambina rappresenta ciò che spero accada presto in tutta Italia e in questo quartiere già si respira. Un mix di bellezza e di culture. Di lingue e di cibi. Di abitudini e festività”.
Diverse famiglie e molte coppie si sono fatte immortalare dall’obiettivo schietto, genuino e appassionato di Ferri e Groppelli. Molti si sono fatti fotografare dandosi un bacio, altri stretti in un abbraccio, altri ancora sorridendo, semplicemente; anche il videomaker piacentino Roberto Dassoni e il suo compagno hanno avuto il loro ritratto fotografico. Atti di tenera delicatezza che si direbbero impensabili in un quartiere considerato ‘degradato’. Tra le “facce di quartiere”, non si è fatto attendere neppure il giovane alternativo: italiano, barba lunga e incolta, collezionista di magliette di calcio, a passeggio con il cane. Fermato un giorno in via Roma da un gruppo di ragazzi marocchini, erroneamente convinti che indossasse la maglia della loro squadra del cuore: il Raja Casablanca. E adesso Luca, il ragazzo italiano, spera che dalla passione comune per il calcio possa nascere un’amicizia tra lui e quei giovani stranieri.
Vivo e aperto fin dal primo giorno, quindi, il laboratorio fotografico allestito da Sergio Ferri ai Giardini Merluzzo, cuore del Quartiere Roma piacentino: sulle tracce di una normalità dischiusa in visi che raccontano molto di più di una cronaca fredda, o gonfiata da titoloni e interessi di parte.
Questo post è stato pubblicato da Piacenza Sera